Va dato merito a Raphael Mechoulam, chimico israeliano di origini bulgare, la prima identificazione di quello che è uno dei principali componenti della Cannabis sativa: il delta9-tetraidrocannabionolo (THC).
La sintetizzazione del composto da parte di Mechoulam, professore emerito di Chimica Medica all’Institute for Drug Research all’Università Ebraica di Gerusalemme, è avvenuta nel 1964. Da allora, la ricerca scientifica sulla Cannabis sativa ha avuto un grande impulso per capire, tra le altre cose, come i componenti di questa pianta interagiscano con il corpo umano. Da qui, l’identificazione, sempre da parte di Mechoulam, del sistema endocannabinoide. Lo scienziato ha definito il delta9-tetraidrocannabionolo derivato dalla Cannabis come “un tesoro farmacologico negletto”. Di questo, si è accorta parte della comunità scientifica internazionale, che ha indagato le potenziali attività biologiche dei derivati di questa pianta.
La marijuana per uso medico può avere diversi effetti a seconda della proporzione di THC, della proporzione tra questo e il CBD, della presenza di sostanze cannabinoidi minori e di altri elementi come il terpene. Inoltre, il fatto che la sequenza genetica della Cannabis sia nota, permette agli scienziati di creare varietà ibride meglio in grado di rispondere alle applicazioni mediche e farmaceutiche.
In Italia, l’unico ente autorizzato a coltivare e produrre Cannabis per uso medico è lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. Si tratta di un progetto pilota iniziato nel 2015, con l’autorizzazione da parte dell’AIFA, l’Agenzia italiana regolatoria del farmaco, alla produzione di sostanze attive a base di Cannabis. Il sito di produzione fiorentino può soddisfare le richieste di ospedali e farmacie italiane, nelle quali si può acquistare Cannabis soltanto presentando la prescrizione medica.
Una ricerca del 2016 condotta all’Università di Leiden, in Olanda, ha cercato di fare chiarezza su quali siano i componenti della Cannabis sativa per uso medico. Gli studiosi hanno messo in luce un gap tra utilizzatori di Cannabis medica e mondo scientifico e come alcune convinzioni sulla Cannabis diffuse nella popolazione generale non siano corrette. Innanzitutto, le persone che utilizzano Cannabis a livello medico tendono ad attribuire maggiore efficacia alla Cannabis sativa rispetto alla Cannabis indica, considerata la specie utilizzata nella produzione dei tessuti.
La ricerca ha analizzato sul piano biochimico 460 campioni di Cannabis di diversi produttori presenti sul mercato olandese – probabilmente lo studio più ampio mai condotto quanto a numero e tipologia di campioni – suddividendoli in Sativa e Indica. Le analisi hanno messo in luce come ogni sotto-varietà di entrambe le specie contenga moltissimi componenti che potrebbero essere utili in campo medico: almeno 44 per ogni campione, per un totale di oltre 22.000. Il tentativo dei ricercatori è stato anche quello di colmare un divario linguistico tra consumatori e medici, o comunque scienziati, per accrescere la conoscenza della Cannabis medica nella cultura generale.
La differente composizione tra Cannabis indica e sativa, che farebbe meritare alla prima una maggiore efficacia, sembra relativa ad alcuni composti che appartengono alla classe dei terpeni. Il dato oltremodo interessante, riscontrato dai ricercatori a livello biochimico, è la mancanza di un prodotto farmaceutico a base di Cannabis analogo a un prodotto ad uso ricreativo, Amnesia.
Ed è proprio questo che un’associazione di pazienti olandesi ha identificato autonomamente come molto efficace e di cui ha chiesto l’inclusione nel FVKASA, il National Cannabis Program olandese. Volendo fare un accostamento, Raphael Mechoulam, in un’intervista, ha affermato: “Fin dall’inizio della mia carriera scientifica, ho sempre creduto, e credo ancora, che la separazione tra i saperi scientifici sia la prova dei nostri limiti nell’apprendimento e nella comprensione di diverse aree della conoscenza. Nella Natura, questo confine non esiste: se una foglia e un albero fossero in grado di pensare, probabilmente non conoscerebbero la differenza tra chimica e biologia”.
In questo caso, potremmo dedurre che la ricerca scientifica in campo biomedico non può mai essere scollegata dall’esperienza diretta dei pazienti.